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RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE E DEL RESPONSABILE DEI LAVORI SULL’OPERATO DEL COORDINATORE IN FASE DI ESECUZIONE

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Del decesso di un operaio scivolato dal tetto dell’abitazione su cui lavorava sono stati ritenuti responsabili sia il coordinatore per l’esecuzione che il committente e il responsabile dei lavori. La Corte ha affermato che la responsabilità di tali due ultimi soggetti non è sussidiaria rispetto a quella del coordinatore, posto che l’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. n.494/96 pone a loro carico l’obbligo di cui alla massima ed ha precisato che al fine di accertare se il coordinatore abbia attuato la verifica che gli compete non sono necessarie particolari cognizioni tecniche, trattandosi di operare un mero raffronto tra ciò che è stato eseguito e ciò che, in base alle prescrizioni del piano, doveva essere compiuto.

Si riporta di seguito la decisione della Suprema Corte.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
-omissis-

ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
1) M.A., N. il (OMISSIS);
2) P.R., N. il (OMISSIS);
AVVERSO SENTENZA del 3.3.2006 CORTE DI APPELLO di TORINO;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udite in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. -omissis-;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. -omissis-, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo
Il 16 febbraio 2001 R.V., muratore dipendente dell’impresa -omissis-, esecutrice di lavori di ristrutturazione di un immobile di proprietà di P.R. e M.A., era salito sul tetto e mentre lavorava al camino era scivolato e precipitato da un’altezza di circa otto metri, riportando trauma cranico che ne cagionava il decesso. Il lavoratore era privo di cintura di sicurezza e dispositivi anticaduta. Nel cantiere non c’erano cinture di sicurezza nè altri sistemi di ancoraggio e trattenuta. L’impalcatura non era a norma, in particolare distava circa 22 cm dal piano di gronda ed era priva di parapettatura su buona parte del ponteggio, (in (OMISSIS) il 16.2.2001, decesso avvenuto in Torino il (OMISSIS));
Con sentenza dell’11 dicembre 2002, resa in esito a rito abbreviato, il Gup del Tribunale di Verbania, dopo aver dichiarato A.B., nella qualità di coordinatore per l’esecuzione di lavori edili, colpevole del delitto di omicidio colposo condannandolo alla pena di sei mesi di reclusione ed al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili R.J., R.M. e R. S., danni da liquidarsi in separato giudizio. Assolveva invece M.A. e P.R. dallo stesso reato, loro ascritto nella qualità di committenti e responsabili dei lavori, perchè il fatto non costituisce reato.
Avverso tale sentenza proponevano appello il difensore di A. B. chiedendo l’assoluzione dell’imputato o in subordine la riduzione della pena e la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria; il Pm presso il Tribunale di Verbania chiedendo la declaratoria di responsabilità degli imputati assolti con condanna alla pena richiesta in primo grado; il difensore delle parti civili chiedendo la condanna del M. e della P. alle pene di giustizia ed al risarcimento in solido con l’altro imputato. Con sentenza n. 781 resa in data 3 marzo 2006 e depositata il 23 maggio dello stesso anno la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza impugnata, riduceva la pena inflitta ad A.B., sostituendo la pena detentiva con quella pecuniaria; dichiarava cessata la materia del contendere con le parti civili a seguito di intervenuta transazione; dichiarava il M. e la P. colpevoli del reato loro ascritto e, concesse ad entrambi le attenuanti generiche, ritenute prevalenti, applicata la diminuente del rito, li condannava alle pene ritenute di giustizia, concedeva ad entrambi la sospensione della pena ed al M. anche il beneficio della non menzione, condannava ambedue in solido al risarcimento dei danni alle parti civili da liquidarsi in separato giudizio.
Avverso quest’ultima sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del M. e della P. per i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione della legge penale di cui agli artt. 113 e 589 c.p. in riferimento al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. a) e art. 6. 2) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) in riferimento al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6 ed art. 40 c.p. per erronea interpretazione di leggi penali in relazione alla condotta omissiva contestata ed alla sussistenza del nesso di causa con l’infortunio. 3) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per illogicità della motivazione in merito alla sussistenza della condotta colposa ritenuta in relazione causale con l’infortunio. 4) sopravvenuta cessazione della materia del contendere in ordirne alla condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Motivi della decisione
La prima ragione di doglianza, svolta dai ricorrenti, si fonda su una pretesa errata interpretazione delle norme cautelari previste nel D.Lgs. n. 494 del 1996 per avere la Corte di merito ricavato la prova della responsabilità dei committenti dal mancato controllo dell’operato del coordinatore, sovrapponendo in tal modo – questa è la tesi dei ricorrenti- le diverse responsabilità che fanno capo alle differenti figure del coordinatore per l’esecuzione dei lavori e del responsabile dei lavori o committente, che sono disciplinate da disposizioni diverse.
Ed invero – continuano i ricorrenti – in base ad una corretta interpretazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 3, 5 e 6 la responsabilità del responsabile dei lavori e/o committente sarebbe soltanto sussidiaria rispetto a quella del coordinatore posto che al responsabile dei lavori, al pari del committente, il legislatore non richiede il possesso di titoli specifici ed affida loro soltanto il compito di designare le figure necessarie che devono operare nel cantiere, di comunicare agli enti preposti al controllo la verifica della redazione dei piani di sicurezza, di verificare che il tecnico, vale a dire il coordinatore, effettivamente svolga le sue funzioni di controllo dell’operato delle imprese esecutrici.
In definitiva – così concludono i ricorrenti – il responsabile dei lavori, non essendo un tecnico, non diventa affatto, come erroneamente ritiene la Corte di appello, controllore anch’esso delle imprese esecutrici nè deve occuparsi, al pari del coordinatore, di verificare il rispetto nel cantiere della normativa antinfortunistica, sovrapponendosi all’operato ed alle competenze dello stesso coordinatore ed infatti, se così fosse stato, il legislatore avrebbe richiesto anche in capo al responsabile dei lavori il possesso delle qualifiche professionali del coordinatore, non potendosi razionalmente riconoscere un profilo di colpa in capo ad un soggetto non qualificato tecnicamente. La censura non è fondata e non merita di essere condivisa. All’uopo, torna utile prendere le mosse dal disposto di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, nel testo risultante a seguito delle modifiche ed integrazioni appartate dal D.Lgs. n. 528 del 1999, norma la quale prevede che “La designazione di coordinatori per la progettazione e di coordinatori per l’esecuzione dei lavori non esonera il committente e il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lettera a).” Giova aggiungere che il testo originario non conteneva l’espresso riferimento al comma 1, art. 4 e comma 1, lett. a), art. 5. Ne deriva che, ai fini dell’attuazione della direttiva 92/57/ CEE in materia delle prescrizioni di sicurezza e di salute da osservare nei cantieri temporanei o mobili, il legislatore del 1999 ha ritenuto opportuno, non solo, delineare in termini più specifici gli obblighi dei committenti e dei responsabili dei lavori ma anche ampliarne il contenuto statuendo che essi sono tenuti a svolgere una funzione di super-controllo, verificando che i coordinatori adempiano agli obblighi su loro incombenti qual è quello consistente, non solo nell’assicurare – come nel testo normativo originario – ma anche nel verificare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 nonchè la corretta applicazione delle procedure di lavoro.
E ciò si spiega considerando che essi sono i soggetti nel cui interesse l’opera è svolta, nel rispetto del principio generalissimo del nostro ordinamento “ubi commoda, ibi incommoda”. A maggior ragione, la rado dell’innovazione legislativa appare giustificabile qualora, come nella specie, i committenti rivestano anche il ruolo di responsabili dei lavori. Nè al fine di accertare se il coordinatore abbia rilevato o meno l’eventuale omessa osservanza delle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza occorrono particolari competenze specifiche, trattandosi di un mero raffronto tra ciò che è stato eseguito e ciò che, in base alle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza, doveva essere compiuto.
In definitiva, merita di essere condivisa l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui la legge ha inteso rafforzare la tutela dei lavoratori rispetto ai rischi cui possano essere esposti nello svolgimento dell’opera, prevedendo in capo ai committenti ed ai responsabili dei lavori, una posizione di garanzia particolarmente ampia dovendo essi, sia pure con modalità diverse rispetto a datori di lavoro, dirigenti e preposti, prendersi cura della salute e dell’integrità fisica dei lavori, garantendo, in ultima istanza ed in caso di inadempienza dei predetti soggetti, l’osservanza delle condizioni di sicurezza previste dalla legge.
Con i due successivi motivi di impugnazione, sostanzialmente connessi tra loro, i ricorrenti si sono doluti per una pretesa erronea interpretazione delle leggi penali in relazione alla condotta omissiva contestata ed alla sussistenza del nesso di causa con l’infortunio. Ed infatti, posto che il coordinatore per la sicurezza si era recato più volte in cantiere, prima dell’infortunio, senza rilevare nulla di irregolare, la mera sollecitazione dei committenti indirizzata al coordinatore al fine di fargli svolgere le sue funzioni di controllo non avrebbe sortito alcun effetto in quanto il coordinatore riteneva che nel cantiere si svolgesse tutto nel rispetto del piano di sicurezza adottato. Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe verificato con certezza, alla stregua del giudizio contro-fattuale, che la condotta doverosa, adottata dai ricorrenti, sarebbe stata idonea ad evitare l’evento. Infine la motivazione della decisione, in merito alla relazione causale tra condotta colposa ed infortunio, sarebbe affetta da illogicità, per aver la Corte territoriale dapprima addossato al coordinatore la responsabilità di non essersi accorto del ponteggio irregolare e per aver nei passi successivi ritenuto responsabili anche i committenti i quali avevano omesso di verificare il rispetto del piano di sicurezza da parte dell’impresa esecutrice, in assenza di specifica segnalazione da parte del coordinatore. Anche tali rilievi non meritano di essere condivisi. Ed invero, se è indubbio che il coordinatore aveva l’obbligo di verificare l’applicazione del piano di sicurezza e della normativa relativa e di assumere le opportune iniziative per assicurare che la prosecuzione dei lavori sul tetto avvenisse in sicurezza con realizzazione di ponteggi idonei onde evitare pericoli di caduta per i lavoratori, è altrettanto vero che i committenti, che assommavano in sè anche la funzione ed i compiti di responsabili dei lavori, avevano l’obbligo derivante dalla legge di controllare a loro volta che il coordinatore avesse concretamente, e soprattutto correttamente, con attenzione e puntualità, svolto le sue mansioni di verifica, accertando se il coordinatore avesse rilevato o meno l’eventuale omessa osservanza delle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza.
Nè può dubitarsi che, in forza del duplice ruolo di committenti e di responsabili dei lavori da loro svolto nella vicenda in esame, essi avevano certamente la facoltà di disporre che il coordinatore ordinasse che non si procedesse oltre nei lavori se non dopo la messa a norma del ponteggio, ben potendo altresì surrogarsi allo stesso coordinatore in caso di inottemperanza da parte sua.
Si deve ora portare l’attenzione sull’ultimo motivo di impugnazione, con cui i ricorrenti hanno dedotto che le parti civili, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, avendo ricevuto il risarcimento dei danni da loro sofferti, hanno provveduto a revocare la costituzione di parte civile con separata dichiarazione depositata in cancelleria. Tale circostanza ha trovato pieno riscontro negli atti di causa, risultando da essi che il difensore delle costituite parti civili R.S., R. J., R.M. e L.Z. ha revocato in nome e per conto dei propri assistiti la svolta costituzione di parte civile nei confronti del M. e della P., con contestuale rinuncia alle azioni giudiziali promosse nei loro confronti.
Alla stregua di quanto sopra, si deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di M. e P. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, statuizioni che vanno eliminate. Va rigettato nel resto il ricorso.
Nulla per le spese in considerazione del parziale annullamento della decisione.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di M. e P. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, statuizioni che elimina; rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2008

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