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LA CASSAZIONE SULLO SVERSAMENTO DI FANGHI IN ACQUE SUPERFICIALI

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La Corte di Cassazione, con la Sentenza Cass. Pen., Sez. III, n. 11998 del 1° aprile 2022, torna a pronunciarsi sul tema, sempre di attuale e rilevante interesse, della configurabilità del reato di inquinamento ambientale, stavolta con riferimento allo sversamento abusivo in mare e in corsi d’acqua superficiali dei fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue.

IL FATTO E LA VICENDA PROCESSUALE

La vicenda processuale segue all’ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva confermato il provvedimento emesso dal GIP con cui era stata applicata la misura del Commissariamento Giudiziale del settore “Servizio Ambiente e Depurazione” nei confronti di un’Azienda Municipalizzata per aver depositato i fanghi nelle strutture degli stessi impianti di depurazione per un periodo superiore a quello consentito nonché per aver smaltito i fanghi in acque marine e superficiali, immettendo i predetti fanghi e altre sostanze inquinanti nel tratto di mare circostante il pennello di sversamento del depuratore, causando la compromissione e il deterioramento significativo e misurabile dell’acqua circostante, del fondale sottostante, nonché dell’ecosistema marino corrispondente.

Contro l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’Ente, in particolare sostenendone l’erroneità, poiché i giudici di merito avevano eluso sostanzialmente di motivare in ordine alle ragioni che rendevano superflua una tassativa misurazione della compromissione delle acque, per cui era stato ritenuto indebitamente sussistente il requisito dell’abusività della condotta contestata.

La Cassazione ha disatteso la tesi difensiva, in particolare richiamando la propria consolidata giurisprudenza e ritenendo corretta l’applicazione della stessa al caso in esame, in cui, in estrema sintesi, era emerso che negli impianti gestiti dell’azienda municipalizzata, a fronte delle riferite difficoltà di smaltimento dei fanghi prodotti dai processi di depurazione, per l’indisponibilità delle discariche specializzate e dei siti di compostaggio, si era deciso di non trattare più i fanghi estratti dalle acque reflue.

I fanghi, anziché essere estratti, stabilizzati, inspessiti e quindi debitamente trattati, venivano forzatamente e deliberatamente mantenuti all’interno degli impianti, da cui, disciolti nell’acqua o in forma di zolle, confluivano, per effetto dell’inevitabile trascinamento dell’acqua, direttamente nel corpo idrico recettore, ovvero in ambiente marino o in acque superficiali.

Da qui la conseguente configurabilità del reato ambientale.

LO SMALTIMENTO ABUSIVO DEI FANGHI DI DEPURAZIONE E IL DELITTO DI INQUINAMENTO AMBIENTALE

In tema di delitto ambientale, ai sensi dell’art. 452-bis c.p. (delitto di inquinamento ambientale), deve ritenersi “abusiva”, la condotta del gestore di un impianto di depurazione consistente nello smaltire i fanghi nelle acque superficiali dolci o salmastre in violazione dell’art. 127, D. Lgs. n. 152/2006 (il cui comma 2 prevede che è vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre, mentre il comma 1 assoggetta alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue, alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione), in particolare laddove la condotta si concretizzi nello snaturare dolosamente il regolare processo di depurazione cui gli impianti sono proposti e per cui sono autorizzati a operare, così cagionando una compromissione, significativa e misurabile, dell’ambiente marino.

Riportiamo in allegato la Sentenza Cass. Pen., Sez. III, n. 11998 del 1° aprile 2022.

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