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SENTENZA CASSAZIONE: CADUTA DALL’ALTO E LAVORO IN APPALTO

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Con sentenza pronunciata il 26 ottobre 2020, la Corte di Cassazione si è espressa in merito alla posizione di responsabilità delle figure della sicurezza di azienda committente ed appaltatrice per l’infortunio mortale subito da un lavoratore di quest’ultima per caduta dall’alto, avvenuta a seguito dello sfondamento delle lastre di copertura di un tetto e legata alla mancata applicazione sia delle norme di sicurezza relative alla sicurezza sul lavoro in regime di appalto che di quelle previste per l’attività di cantiere edile, con particolare riferimento allo svolgimento di lavoro in quota.

IL FATTO
Con sentenza emessa il 19/11/2014, la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Trani che condannava L.G. in qualità di legale rappresentante dell’azienda committente D.M.M. s.r.l., C.L. in qualità di progettista e direttore dei lavori, nonché P.C.D. in qualità di primo socio accomandatario e legale rappresentante dell’azienda appaltatrice F.E.B.O.T sas e A.R. in qualità di socio accomandatario e preposto di fatto della stessa azienda “per aver ciascuno, con condotte colpose indipendenti ma tutte concorrenti, caratterizzate da colpa generica e specifica, per inosservanza delle regole antinfortunistiche vigenti in materia, causato la morte di S.M., dipendente della ditta F.E.B.O. T sas, che stava installando pannelli per impianto fotovoltaico sul tetto del capannone della ditta D.M.M; infatti, mentre il S.M. era sul tetto, a causa del cedimento di uno dei pannelli, cadeva da notevole altezza, decedendo sul colpo.”

Più specificamente, “P.C.D. e A.R. […], non dotavano il lavoratore di alcun sistema di arresto caduta, guide o linee vita flessibili o rigide o dispositivi di trattenuta retrattili, o di un’imbracatura di sicurezza (art. 18 comma 1 lett. d e 115 Dlgs 81/08); né allocavano andatoie o passarelle che consentissero il movimento in sicurezza dei lavoratori sulle lastre in vetroresina di copertura del tetto, notoriamente a rischio sfondamento (art. 130 Dlgs 81/08); omettevano di redigere un piano operativo di sicurezza (POS) riferito al cantiere oggetto dell’intervento e quindi contenente specifiche scelte progettuali e organizzative e prescrizioni operative tecniche e di sicurezza, idonee a rispettare le fasi critiche di costruzione e prevenire i rischi specifici connessi con le lavorazioni relative all’installazione dell’impianto fotovoltaico, tra cui la saldatura delle traversine in ferro (art. 17 comma 1 lett. a) del D. Lgs 81/08); non redigevano alcun progetto esecutivo circa la fattibilità dell’impianto, né promuovevano la cooperazione e il coordinamento con la Ditta D.M.M. né informavano e formavano il lavoratore dei rischi specifici inerenti le misure di prevenzione da adottare (art. 19, 22, 26 comma 2, 37 comma 1 D.lgs 81/2008), con particolare riferimento alle zone che esponevano alla caduta dall’alto.”

Per L.G. e C.L. “rispettivamente il primo ometteva di fornire alla ditta appaltatrice F.E.B.O.T sas dettagliate informazioni sui rischi specifici dell’ambiente di lavoro in cui operava, non rendendo disponibili i calcoli statici della struttura né promuovendo la cooperazione e il coordinamento necessario per l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi che indicasse le misure da adottare per eliminare o ridurre al minimo il rischio di interferenze (art. 26 comma 1,2,3 D.lgs 81/2008); il secondo, pur non avendo effettuato né avendo a disposizione i calcoli statici della struttura oggetto di installazione dell’impianto fotovoltaico da 100 Kwh, asseverava nella relazione tecnica del 19.11.2010 che le opere rispettavano le misure di sicurezza a tutela della salute dei lavoratori (art. 22 del D.lgs 81/2008); rimaneva totalmente assente in sede di esecuzione dei lavori […] omettendo di segnalare al committente il rischio di intervento su una superficie come quella del tetto, coperto da sottili lastre in fibrocemento e con limiti di resistenza prevedibili.”

IL RICORSO IN CASSAZIONE
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione P.C.D. e A.R., chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi.
A.R. asseriva di non rivestire alcuna posizione di garanzia in quanto “privo di competenze professionali in materia di sicurezza, pur conservando il titolo di datore di lavoro ha delegato tutti gli incombenti in materia di sicurezza al socio P.C.D., affidandogli anche l’incarico di RSPP […]; conseguentemente doveva essere esclusa la responsabilità di A.R. il quale non ha rivestito il ruolo di preposto di fatto proprio per carenza di capacità professionali; l’A.R. si limitava a dare indicazioni tecniche sui lavori operando nella stessa situazione altamente rischiosa dei lavoratori dipendenti.”

L.G., a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso deducendo i seguenti motivi.
“Violazione di legge con particolare riferimento alla ritenuta mancanza di informazioni dettagliate sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui erano destinati a lavorare i dipendenti della F.E.B.O.T. Evidenzia la contraddittorietà della motivazione intanto, da un lato, si afferma che le caratteristiche delle lastre e il loro spessore era percepibile ad occhio nudo, dall’altro, si addebita al L.G. la responsabilità nella causazione dell’evento mortale per non aver fornito informazioni specifiche circa il materiale che ricopriva il tetto che costituiva la superficie su cui andava realizzato l’impianto stesso oggetto dell’appalto. La società appaltatrice doveva prevedere il rischio caduta e parametrare l’intervento da eseguire, nessuna omissione rilevante vi è stata da parte del committente. […] Lamenta che la mancanza o inadeguatezza delle misure di prevenzione non fosse percepibile dal committente e che il contratto di appalto affidava direttamente all’appaltatore l’esecuzione dei lavori le misure di sicurezza.”

C.L. mezzo del proprio difensore ha presentato ricorso deducendo i seguenti motivi.
“Lamenta che dapprima è stato affermato che la responsabilità penale del C.L. deriva dalle omissioni della relazione tecnica poi che l’evento è stato provocato dai comportamenti omissivi dei responsabili della società appaltatrice. […] Le condotte del datore di lavoro della vittima hanno avuto una efficienza causale esclusiva rispetto all’evento infortunio e interrompono il labile nesso causale tra l’omessa segnalazione del rischio ipotizzata a carico del C.L. e la caduta dell’operatore.”

RISPONDE LA CASSAZIONE
Nella sua risposta, la Suprema Corte ricorda che “Il sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica riguarda anche la gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori a singole imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all’interno dell’azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito del ciclo produttivo dell’azienda medesima.
Grava sul datore di lavoro, committente, l’obbligo di predisporre il documento di valutazione dei rischi derivanti dalle possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono in successione o contestualmente all’interno di un’area […].
Grava specularmente sugli stessi datori di lavoro, ai quali sono stati appaltati segmenti dell’opera complessa, l’obbligo di collaborare all’attuazione del sistema prevenzionistico globalmente inteso, sia mediante la programmazione del rischio specifico della singola attività in ordine alla quale la posizione di garanzia rimane a carico del singolo datore di lavoro, sia mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall’ interferenza tra le diverse attività rispetto a cui la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale che ha dato origine all’infortunio”

Dopo aver ribadito dunque, l’obbligo di cooperazione e coordinamento previsto dall’art. 26 del D.Lgs. 81/08 e dunque la posizione di garanzia assunta dai datori di lavoro di entrambe le aziende, ricorda inoltre che “questa Suprema Corte ha da tempo chiarito che, se sono più i titolari della posizione di garanzia, come nel caso di specie, ciascun garante risulta per intero destinatario dell’obbligo di impedire l’evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia […]. Quando l’obbligo di impedire un evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in momenti diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto […]”.

Il ricorso dei P.G.D. e A.R. viene respinto in quanto “vorrebbe semplicisticamente individuare il soggetto titolare delle posizioni di garanzia solo nel P.C.D., in quanto titolare di una delega […], senza considerare che entrambi gli imputati in quanto soci accomandatari avevano poteri di responsabilità dell’impresa, cioè di gestione e di spesa ed assumevano perciò la posizione di datori di lavoro; l’A.R., inoltre, impartiva le direttive e gli ordini sul posto di lavoro, assumendo anche la funzione del preposto, e il P.C.D. che, si occupava prevalentemente della parte amministrativa, aveva assunto anche la funzione di responsabile della sicurezza.”

Il ricorso di L.G. viene parimenti rigettato in quanto è parere della Corte che sia stata fatta “corretta applicazione dei principi giuridici che attengono agli obblighi del committente e a quelli connessi alla sussistenza di rischio interferenziale che attiene, non solo al contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche alla coesistenza, in un medesimo contesto, di più organizzazioni che genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro […] L.G., era rappresentante della D.M.M., società committente, […] aveva perciò non solo l’obbligo di predisporre il documento unico di valutazione dei rischi, cui non ha adempiuto, ma altresì l’obbligo […] di fornire informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro”. Inoltre “avrebbe dovuto impedire l’uso improprio del tetto, stante anche l’assoluta mancanza, visibile ad occhio nudo, di dispositivi di protezione anticaduta dall’alto.”

In merito al ricorso di C.L., infine, la Corte di Cassazione conferma il corretto riconoscimento nei precedenti gradi di giudizio della “posizione di garanzia assunta dal C.L., quale progettista che […] asseverava che le opere erano conformi alle prescrizioni urbanistiche e rispettavano le norme di sicurezza e igienico sanitarie, nonostante la piena consapevolezza che si trattava della installazione, sulla copertura in fibrocemento, di una struttura portante di 432 moduli fotovoltaici; il C.L. non segnalò al committente l’impossibilità di camminamento diretto sul tetto in relazione ai lavori programmati né valutò in alcun modo la situazione di rischio in relazione alla caratteristiche di staticità della copertura né evidenziò la necessità che in fase di esecuzione fossero previste opere provvisionali necessarie ai fini della tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori.”

IL RISCHIO CADUTA DALL’ALTO: UNA DELLE PRIME CAUSE DI MORTE NEI LAVORI EDILI
I Lavori in Quota costituiscono una delle attività lavorative a maggior rischio di infortunio: questo è quanto emerge dalle statistiche sugli infortuni mortali presentate negli anni da INAIL e pubblicate con proprie elaborazioni dall’Osservatorio Sicurezza del Lavoro di Vega.
La legislazione in materia di salute e sicurezza tratta questo rischio anche in modo specifico, in particolare nel titolo III del D. Lgs. 81/08. Ciò che spesso viene a mancare è una corretta progettazione dei fabbricati al fine di garantire dei sistemi di lavoro che garantiscano la sicurezza durante le attività, spesso non ordinarie, che prevedono lavori in quota, quali ad esempio: passerelle, soppalchi, scale di accesso, linee vita, sistemi di ancoraggio fissi, etc.
Ma altrettanto fondamentale per garantire la sicurezza nelle attività con rischio di caduta dall’alto è la formazione e l’addestramento degli addetti ai lavori in quota, cioè quei lavoratori che dovranno utilizzare correttamente le attrezzature e i dispositivi di protezione collettivi e individuali messi a loro disposizione e operare in sicurezza in condizioni di rischi di caduta dall’alto.
Tutte le misure di sicurezza prevista dal datore di lavoro per prevenire il rischio di caduta dall’alto devono essere indicate nel documento di valutazione dei rischi aziendale e, nei cantieri temporanei e mobili, nel Piano Operativo della Sicurezza (POS), i cui contenuti minimi sono indicati nel punto 3.2.1 dell’allegato XV del D. Lgs. 81/08.

Per un maggiore approfondimento riportiamo in allegato l’estratto della sentenza della Corte di Cassazione

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