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LA CORTE DI CASSAZIONE SI E’ ESPRESSA SULLA RESPONSABILITA’ DELLA SICUREZZA IN UN’IMPRESA A CONDUZIONE FAMILIARE

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Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. – Sentenza del 21 maggio 2009, n. 21270

Con sentenza in data 26/5/2005, la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì, Sez. distaccata di Cesena, che aveva condannato (…) alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di lesioni, colpose gravi, in persona di (…) fatto verificatosi in Cesena il 22/5/1998.

L’imputato era stato ritenuto colpevole per non avere, nella qualità di socio responsabile della società in nome collettivo (…) di (..) protetto con idonea schermatura, gli organi lavoratori del nastro trasportatore dell’impianto per il trattamento dei pezzi di metallo, con i quali accidentalmente veniva in contatto il socio lavoratore (…) e così cagionato al medesimo, per colpa generica ed in violazione dell’art. 68 del DPR n. 547/1955, l’amputazione totale dell’arto superiore sinistro.

La Corte di merito, premesso che l’obbligo di adottare tutte le misure idonee e necessarie alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori incombe su ciascun socio, quando si tratti di società di persone e non risulti l’espressa delega a persona di particolare competenza nel settore della sicurezza, ha ritenuto che, nella fattispecie, quell’obbligo spettasse proprio all’imputato (…) in quanto egli pur avendo di regola nell’ambito della piccola società, organizzata in forma elementare, gli stessi poteri di amministrazione del fratello (…) era stato nominato, con delibera dell’assemblea del 15/4/1997, “unico responsabile” per una serie di rapporti ed in particolare, per quelli con l’ispettorato del lavoro e con qualsiasi altro ufficio competente per pratiche ed adempimenti in materia di lavoro, tra i quali andavano ricompresi, in assenza di qualsiasi atto di deroga, quelli in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nella specie violati.

(…) per mezzo del difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo erronea applicazione della legge e motivazione illogica per la ragione che l’individuazione in capo ad esso ricorrente della posizione di garanzia, in relazione alla quale era stato ritenuto inosservante per colpa specifica dell’obbligo di impedire l’evento lesivo, era stato erroneamente effettuata, non considerando che, nell’ambito della piccola società in nome collettivo, la stessa posizione spettava anche al socio lavoratore, resosi, per sua iniziativa colposa, vittima dell’infortunio.

II ricorrente ha sostenuto, inoltre, che a detta conclusione non poteva ostare la nomina del medesimo ad unico responsabile, così come deliberata dall’assemblea societaria, non rappresentando quella nomina una specifica delega in materia di sicurezza dei lavoratori.

Trattasi di ricorso destinato alla declaratoria di inammissibilità, in quanto i motivi proposti a sostegno di esso si palesano aspecifici, non confrontandosi con le corrette e persuasive considerazioni espresse in sentenza dai giudici, di merito.

Questi ultimi, invero, non hanno escluso la partecipazione attiva della vittima, in qualità di socio lavoratore, alla gestione della società in nome collettivo a conduzione familiare, ma hanno, dalla documentazione acquisita agli atti, ritenuto che (…) per espressa delega ricevuta dall’assemblea con delibera del 15/4/1997 e da lui accettata, fosse titolare, in tema di sicurezza dei lavoratori e di prevenzione degli infortuni nell’ambiente di lavoro, di una posizione di garanzia a beneficio anche del socio lavoratore.

Così individuata la posizione del ricorrente nell’ambito dell’impresa familiare in questione, non è rilevante la circostanza che la cennata delibera facesse, menzione solo di pratiche ed adempimenti in materia di lavoro, essendo evidente, per la stretta connessione a tale materia, l’estensione alle pratiche ed agli adempimenti per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Vero è che nella società di fatto, qual’è l’impresa familiare, i soci si trovano in una posizione paritaria, e la responsabilità dell’evento dannoso ricade su ciascuno di essi, e quindi anche sul ricorrente, ma, nella fattispecie, è la delega espressa, di cui si è fatto riferimento, a rendere legittima la conclusione che, (…) sia stato personalmente investito, per di più, della titolarità del dovere giuridico di predisporre i mezzi opportuni e le spese necessarie per garantire l’incolumità dei lavoratori, circostanza non verificatasi in concreto, essendo stato impiegato un macchinario pericoloso, in quanto non dotato, come prescritto da specifica norma antinfortunistica, di schermatura idonea ad evitare accidentali contatti degli arti dei lavoratori con gli organi in movimento del nastro trasportatore.

La motivazione della sentenza impugnata è, quindi, logica ed esauriente, e tiene, conto dei principi legislativi e degli orientamenti giurisprudenziali in tema di infortuni di lavoratori, dipendenti di società di fatto.

In riferimento, poi, alla censura, peraltro genericamente accennata, che si richiama alla condotta imprudente del lavoratore, vittima dell’incidente, al fine di sostenere l’interruzione del nesso eziologico tra colpa dell’imputato ed evento infortunistico, sembra al Collegio agevole confutarla, facendo riferimento al principio generale secondo cui la colpa altrui non elide la propria.

E’ evidente, infatti, che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l’evento lesivo, che è conseguito, nella specie, dall’avere la vittima operato nel luogo di lavoro in condizioni di pericolo, in quanto non era stato previsto un sistema di protezione atto ad impedire eventuali, contatti degli arti del lavoratore con gli organi in movimento del macchinario: tanto meno è invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perché si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perché vi è stato, dalla parte della vittima, una anomala e inopinata esecuzione della prassi di lavoro.

Questo rilievo non scagiona, per il fatto che chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, dei comportamento altrui In altri termini, l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori non è invocabile, non solo per la illiceità della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l’evento, imputabile a colpa altrui, quando si è, come nel caso “de quo”, nella possibilità in concreto di impedirlo.

E’ il cosiddetto “doppio aspetto della colpa”, secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l’incidente dipende dal comportamento dell’agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui.

A tali principi, pertanto, la Corte territoriale si è attenuta nel definire il ruolo avuto dall’imputato nella vicenda, ritenendo costui non esente da colpa.

E’ da osservare, infine, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell’attività lavorativa.

Sussistendo questa ipotesi, è affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondursi alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento.

Per ultimo, va rilevate che, traendo la declaratoria di inammissibilità del presente ricorso da una causa che ha impedito il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, è inibito in questa sede (come statuiscono in conformità le Sez. Unite con sentenza 22/11/2000, ric. De Luca) la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. e, nel caso di specie, la prescrizione del reato, peraltro maturata in data 22/11/2005, solo dopo la sentenza impugnata.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue, a mente dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, equamente determinata nella misura indicata in dispositivo, in considerazione della condotta processuale adottata, in essa riconoscendo profili di colpa.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese processuali e, inoltre, al versamento della somma di 1000,00 Euro a favore della Cassa delle ammende.

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