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CADUTA DALL’ALTO: CSE E ATTREZZATURE DI LAVORO INIDONEE

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IL FATTO
Nella ricostruzione dell’infortunio eseguita dal Giudice Distrettuale, T.R. “con piattaforma elevatrice si era issato, unitamente ad altro lavoratore, fino alla sommità del capannone onde procedere al trasbordo di pannello della copertura, che poi avrebbe dovuto installare (…). È’ stato accertato che il lavoratore procedeva ad un’altezza di undici metri eseguendo, a seguito del trasbordo dalla piattaforma elevatrice, attività propedeutiche all’installazione di pannelli sulla sommità del capannone, quando perdeva l’equilibrio e precipitava.

Gli imputati chiamati a rispondere del reato di omicidio colposo, del lavoratore T.R. dipendente della Ditta “A”, che operava presso la ditta “B” in modalità di distacco lavorativo, come previsto dall’articolo 30 del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 (c.d. Riforma Biagi) sono M.R. e M.P., soci amministratore della ditta “B”, in qualità di Datori di Lavoro e distaccatari di T.R., per i quali veniva contestata la violazione art. 71 primo comma, del D.Lgs. 81/2008 per non aver ottemperato agli obblighi di prevenzione e protezione nei confronti del lavoratore distaccato, nello specifico di non aver messo a disposizione dei lavoratori adeguate attrezzature in riferimento al lavoro da svolgere. “La Corte di Appello di Firenze confermava la valutazione di inidoneità dei mezzi impiegati dagli operai per operare in sicurezza in altezza, atteso che la piattaforma non consentiva agli operai di eseguire la pannellatura della copertura senza staccarsi dalla piattaforma cui erano agganciati“(…), art. 96 comma I lett, g) e art.115 del D.Lgs. 81/2008 per non aver previsto procedure di sicurezza per le attività da svolgere all’interno del POS (Piano Operativo di Sicurezza) né adottato sistemi di protezione contro le cadute (artt. 96 e 115), “(…) d’altro canto la procedura di operare sulla sommità della copertura, di per sé pericolosa stante il dislivello tra i piani di appoggio, era resa ancora più insidiosa dall’assenza in quota di una linea vita cui collegarsi“.

A N.G., CSE (Coordinatore per la Sicurezza in Fase di Esecuzione) della Committente, veniva contestata la mancata applicazione dell’art. 92 comma I lett. b) del D.Lgs. 81/2008per avere omesso di verificare la adeguatezza del POS delle ditte “A”. e “B” e la loro idoneità a garantire la sicurezza durante la esecuzione dei lavori sulla copertura del capannone e di avere omesso di curare il raccordo con il piano di coordinamento per la sicurezza, nonché di avere contravvenuto all’obbligo di verificare la idoneità tecnico professionale delle imprese operanti dal cantiere, così da prevenire l’evento dannoso rappresentato dalla caduta del lavoratore T.R.“.

RICORSO IN CASSAZIONE
Tutti gli imputati proponevano ricorso. In particolare i ricorrenti M.P. e M.R. dolevano una errata applicazione dell’art. 30 D. Lgs. 276/2003 per essere stato inquadrato il rapporto lavorativo tra ditta “A” e ditta “B”, come negozio atipico e non come sub appalto, come citato nel testo del ricorso: “il riferimento alla esigenza di un distacco di dipendenti da un’azienda ad un’altra era mero espediente formale per eludere i divieti di subappalto, laddove le parti avevano inteso riconoscere all’azienda distaccante le Incombenze proprie dell’appaltatore, che operava in autonomia in relazione alla realizzazione della copertura del capannone, come risultava altresì confermato dalla predisposizione del POS“.

N.G., CSE (Coordinatore per la Sicurezza in Fase di Esecuzione) della Committente, ricorre in quanto evidenzia come ci sia stata un’adeguata successione nella verifica della documentazione di cantiere delle ditte “A” e “B” e della predisposizione del PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) determinata da esigenze lavorative che imponevano l’impiego di Piattaforme Elevatrici piuttosto che impalcature, e che la predisposizione del nuovo PSC con successiva richiesta di integrazione dei Piani Operativi di Sicurezza (POS), questo anche confermato come riportato nel testo del ricorso, “di procedere ad una integrazione dello stesso POS onde consentire all’impresa esecutrice di fornire un dettaglio della nuova procedura esecutiva alla cui formulazione era condizionata l’autorizzazione alla ditta “A” di accedere al cantiere.

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
In via generale, la Corte di Cassazione precisa che “Invero in più di una articolazione è stata prospettata la assenza di rilievo causale nelle condotte dei ricorrenti in ragione di fattori alternativi, coevi e successivi, riferibili a comportamenti umani, estranei alla sfera di prevedibilità di ciascun imputato (…). Peraltro si verte in ambito di infortunio realizzatosi sul luogo di lavoro ove il coinvolgimento integrato di più soggetti, titolari di autonome posizioni tutoriali, non solo era imposto dalla legge (art.3, 26 e 90 ss D.Lgs. 2008/81), ma anche da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio e alla organizzazione del lavoro nel cantiere, nel legittimo affidamento da parte delle maestranze chiamate ad operare, il quale imponeva una opera di cooperazione e di coordinamento della gestione del rischio interferenziale. (..)Per tale ragione era stato infatti indicato uno specifico garante (N.G.) per la gestione e il coordinamento di tale articolata interferenza di lavorazioni.”

Relativamente alla posizione di N.G. Coordinatore in Fase di Esecuzione, la sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 29 ottobre 2018, n. 49360, afferma che il CSE non esegue una mera attività notarile di controllo sulla documentazione, in questo caso il POS, ma è obbligato a verificare e valutare l’effettiva realizzazione delle metodiche prospettate dalla ditta esecutrice, o quantomeno con la possibilità di integrare quelle metodiche con l’opera da realizzare, e che l’infortuniouna volta accertata dai consulenti la inidoneità degli strumenti impiegati e la mancanza di presidi di pronta attivazione sulla sommità della copertura (…),ancoraggi, linea vita, o altra attrezzatura idonea ad evitare la caduta del lavoratore, previste nel PSC ma non installate nell’area dove si è verificato l’infortunio (..), sarebbe stato superfluo stabilire se il lavoratore fosse precipitato mentre aveva tentato di issarsi sulla copertura scavalcando il parapetto del cestello elevatore ovvero se la caduta fosse intervenuta quando egli già si trovava sulla sommità del capannone intento ad armeggiare con il pannello da installare”.

Oltre che accertato nei fatti l’esclusione “che l’infortunio fosse stato determinato da una iniziativa estemporanea, imprevedibile ed eccentrica dei lavoratori, sia in ragione delle dichiarazioni del testimone, compagno di lavoro del dipendente infortunato, sia in ragione dei mezzi impiegati (piattaforme mobili), che erano appunto i mezzi a disposizione della ditta appaltatrice”, mezzi appunto non idonei all’esecuzione dei lavori.

Per ulteriori approfondimenti alleghiamo la Sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. 4, 29 ottobre 2018, n. 49360

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